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Il fuoco e il vento: miti, leggende e colori delle isole Eolie, Le isole del fuoco
ALICUDI, piccolo eremo arcobaleno
Di Alicudi si dice che il colore caratteristico sia il VIOLA delle eriche, da cui prende il nome, tratto dall'antico Ericusa, ma l'impressione di chi raggiunge il porticciolo sul finire dell'estate è che tutti i colori dell'IRIDE si siano dati appuntamento qui: insieme ai suoi ospitali abitanti, sarete accolti da un nugulo di farfalle multicolori e festanti, che sembrano salutarvi con il loro volo gioioso quanto incerto.
La piccola Alicudi è un vulcano spento, quasi perfettamente circolare, di 5 km², con coste scoscese e ripide e costituisce la parte emersa, sorgente da 1.500 mt. di profondità dal livello del mare, fino ai 675 mt. del filo dell'Arpa, il punto culminante dell'isola. E' abitata solo sul versante orientale, l'unico digradante in modo meno aspro verso il mare, punteggiato da case bianche che dalla costa si abbarbicano contro ogni logica lungo le impervie mulattiere e le migliaia di gradini rocciosi di lastre di pietra che sembrano quasi ferire la montagna lungo la sua scarpata di levante, come ostinati intagli che si intestardiscono a vincere la forza di gravità.
L'isola delle eriche nel dopoguerra era abitata da oltre 600 persone, in buona parte emigrate in Australia, principalmente a Melbourne, nel corso dei successivi decenni. Oggi rimane un centinaio di irriducibili abitanti, dei quali molti tedeschi, rifugiati nella località più alta e remota dell'isola, denominata Montagna, per fuggire dalle fatue lusinghe della società consumistica. E' difficile dire se si tratti di pescatori o agricoltori, operatori turistici, muratori, falegnami, fabbri, cuochi, camerieri o commercianti: ad Alicudi sei tutto e niente, consapevole del fatto che si tratta di un'isola dove non è ancora arrivata la ruota e l'unico mezzo di trasporto è l'asino, che viene curato e lavato sulla spiaggia con acqua e sapone, come un cittadino stressato farebbe in un car wash con la sua amata auto.
Ad Alicudi c'ero già stato vent'anni fa e le poche cose che sono cambiate nel 2002 sono il piccolo molo, che negli anni '80 mancava, danneggiato da una furiosa mareggiata (era necessario sbarcare dall'aliscafo direttamente sulle barche dei pescatori, sperando che il gioco delle onde fosse favorevole, per non cadere in acqua); un piazzale adibito ad eliporto per le emergenze e la luce elettrica, ma solo nelle case; per fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, manca ancora l'illuminazione pubblica, fattore che comporta a tutt'oggi l'isolamento notturno delle abitazioni, ma che consente la contemplazione del firmamento stellato, senza alcuna limitazione indotta da impedimenti di origine umana.
Risalendo le ripide mulattiere si dimentica la fatica immergendosi nei mille colori offerti gratuitamente da agavi, fichi d'india, capperi in fiore, bouganville rosse, rosa, viola, arancio e naturalmente dalle eriche, che qui interpretano il meglio di loro stesse, quasi consapevoli di trovarsi nell'isola a loro dedicata. Un luogo incredibile, dove l'isolamento è splendidamente vissuto senza grossi patemi dai suoi abitanti e dove una natura generosa sa regalare a piene mani i suoi frutti più prelibati: dalle aragoste ai funghi (ci sono davvero e sono molto gustosi).
Un posto dove anche i pesci sembrano partecipare allo spettacolo cromatico che offre l'isola, lasciandosi avvicinare dall'uomo senza paura e assumendo colorazioni multicolori, simili a specie ittiche tropicali. Un'isola dove anche lo speculatore edilizio peggio intenzionato non potrebbe causare alcuno scempio, data la natura selvaggia e impervia del terreno, che non permette ulteriori edificazioni. Il motivo per cui le abitazioni sono state costruite in luoghi tanto scomodi è facilmente comprensibile se si ricordano le frequenti incursioni di barbari e pirati delle quali sono state oggetto per millenni le rotte del Tirreno; ne è un esempio il Timpone delle Femmine, una località di Alicudi quasi inaccessibile, dove venivano rinchiuse le donne dell'isola durante le incursioni di predoni e corsari.
Durante la mia permanenza alle Eolie, la terra ha tremato ad Alicudi, forse per dirmi che l'isola è viva, mai statica, in continuo mutamento; il sisma ha generato un piccolo Tsunami, un'onda di maremoto di circa 4 metri che si è infranta sulle disabitate scogliere inaccessibili a ponente dell'isola e con minor vigore nei pressi dell'abitato di Pecorini a Mare, nella vicina Filicudi, fortunatamente senza causare danni.
Non chiedetemi di segnalarvi un link turistico, un albergo o un semplice alloggio ad Alicudi, non posso farlo, perché dovete andarci all'avventura, imparando a rivolgervi direttamente ai pescatori con il viso segnato dalle rughe di una terra aspra e improbabile, ma con il cuore aperto ai viaggiatori autentici, così diversi dai turisti avvezzi soltanto ai confortevoli viaggi organizzati, con licenza di depredare la natura e con gli occhi chiusi alla poesia dei colori.
Alicudi è di chi sa amarla, con la sua natura selvaggia e quasi ostile, che ha in sé la forza di respingere tutto il superfluo che l'uomo moderno ritiene indispensabile e che uccide la sua felicità più autentica. Alicudi è anche mia, io che ho conosciuto e amato tante isole nel mondo, ma che ho giurato a me stesso di vivere tra le sue eriche viola, prima o poi.
Al Bar l'Airone, presso l'imbarcadero, ho letto e trascritto questa poesia, scritta da un anonimo turista che descrive molto meglio di mille cronisti le suggestioni di un'isola fuori dal mondo.
di Ermanno Sommariva
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